No, il mio non era amore. E vi racconto perché.

di redazione di NoiNo.org

No, il mio non era amore. E vi racconto perché.

PROLOGO
"Mi voglio autodenunciare. Perché ho fatto male a una ragazza, la mia ragazza. Le sto rendendo la vita impossibile. E sto malissimo anch'io. Ma non so come uscirne, tutte le volte ricominciamo. Ricomincio. Mi dovete impedire di vederla ancora. Io da solo non ce la faccio." Questa non l'aveva ancora mai sentita, il Carabiniere in servizio, quel giorno di qualche mese fa. Davanti a lui c'è un ragazzo, parecchio lontano dall'immagine tipica del bruto che pesta la moglie. Giovane, appunto, ben vestito. Il Carabiniere gli chiede di spiegarsi meglio, il giovane racconta. Ma è davvero molto improbabile ottenere un'ordinanza interdittiva per se stessi, se non c'è querela di parte, né segnalazioni di terzi. Più che di una denuncia, pensa il Carabiniere, forse quel ragazzo (e quella ragazza, soprattutto) hanno bisogno di qualcos'altro, di qualcun altro. Ma di chi? Per le donne ci sono i centri antiviolenza, le associazioni. Ma un uomo? Il militare tira fuori il suo smartphone, cerca su internet. Trova un sito. "Uomini contro la violenza sulle donne", dice. Guarda ancora. C'è un articolo sugli uomini che vogliono uscire dalla violenza. Maltrattanti, li chiamano. Centri di ascolto. Servizi. Gruppi. Forse qua c'è qualcosa di utile. 

LA STORIA DI FEDERICO (E DI ELENA).
Federico ha 26 anni, è italiano, vive in una grande città del centro-nord; ha una laurea, una grande passione per l'immagine e un lavoro nel mondo della creatività. Alcuni mesi fa scopre per caso, in una stazione dei Carabinieri, questo sito. E scopre che esistono servizi per uomini che esercitano violenza nelle relazioni di intimità. Comincia così la ricerca di una via d'uscita da una spirale di ossessione, di sofferenza inflitta, di dipendenza affettiva. Il suo percorso continua ancora oggi, ma la sua storia comincia un paio d'anni fa, proprio come iniziano tante normali storie d'amore. Ve la raccontiamo con le sue parole, cambiando il minimo necessario per salvaguardare la riservatezza dei protagonisti. 

"LA RAGAZZA CHE VORREI."
Avevo cominciato a lavorare da poco quando ho conosciuto Elena e, sì, l'ho notata subito. È molto bella e infatti lavora come modella, indossatrice, ragazza immagine. Ma continua a studiare, in una facoltà molto impegnativa, e a seguire i suoi interessi. Ed è soprattutto questo che sin dall'inizio mi ha preso tantissimo. Una persona almeno apparentemente forte, indipendente, che corrispondeva al mio ideale di "ragazza che vorrei": più matura, capace di tirare fuori il meglio da me, di stare al mio fianco anche quando sbagliavo. Per tutti e due è cominciato presto un rapporto intenso, molto esclusivo, in cui eravamo spessissimo insieme.

"IO COMUNQUE SONO UNA PERSONA GELOSA."
All'inizio ero molto entusiasta di poter dire "sto con una modella". Ma poi accettare il lavoro di Elena per me era difficile. Conosco il mondo dell'immagine ma sono una persona gelosa: facevo fatica a vedere le foto in tutti i social network con lei attorniata da clienti, ovviamente maschi.  Non mi piace neanche questa forma di sessismo, piazzare lì una bella ragazza solo per attirare clienti. E non piaceva tanto neanche a lei. 

"LEI ERA DIVENTATA UN LAVORO A TEMPO PIENO."
Ci eravamo messi insieme da poco quando mi sono trovato senza un lavoro. Ho cominciato a dedicarle tanto tempo, troppo. Dormivo con lei la notte, la portavo in università, a lavorare, la tornavo a prendere, pranzavo con lei. Non mi imponeva nulla ma era diventata un lavoro a tempo pieno, tutto il mio mondo. Mi ero reso conto di quanto, sotto sotto, fosse una persona fragile, insicura, mai del tutto felice, e mi sono detto "Io sono la persona che la può aiutare. Devo farlo." Sbagliavo, ma allora non l'avevo capito.

"AVEVO SEMPRE IL TELEFONO IN MANO."
Avevo un atteggiamento possessivo. Anche quando eravamo fuori con gli amici, avevo sempre il telefono in mano per scriverle. Capitava che se non mi rispondeva subito ad un messaggio pensavo "Oh, ma che sta a fare questa?". Avevo una paura folle di perderla e l'unico modo che vedevo per evitarlo era stare lì. Poi, certo, anche lei era gelosa. 

"NON CI HO VISTO PIÙ . POI MI È CROLLATO IL MONDO ADDOSSO."
La prima crisi c'è stata prima della mia festa di compleanno. L'organizzazione era complicata, Elena si è innervosita e mi ha fatto una battuta pesante sui miei amici. E io lì non ci ho visto più. Ho riagganciato il telefono, sono andato da lei con tutti i suoi regali, li ho lanciati sotto casa. Siamo riusciti a chiarirci ma qualche cosa si era già incrinata perché lei aveva visto una reazione molto forte, che da me non si aspettava.
Il peggio arriva la sera dopo: il motivo scatenante è la gelosia di Elena, perché anche lei è gelosa. Mi ha visto parlare troppo con una mia amica, ha preso le scale ed è andata via. Io mi sono lanciato a seguirla. Mi sono scusato, lei ha cominciato a spintonarmi "Vai via, sei una merda, maledetto il giorno in cui ti ho conosciuto". Io ero già nel panico in quel momento. Pensavo "Se lei va via adesso non la rivedo più", finché ad un certo punto l'ho tirata verso di me. L'ho tirata forte, lei è caduta, si è spaventata e si è messa a piangere. Lì sono crollato io, letteralmente. Sono stato due ore per terra a piangere in una maniera che nei 25 anni precedenti non mi era mai successa. Il giorno dopo non riuscivo ad alzarmi dal letto. 

"NON È PIÙ STATA LA STESSA COSA."
Dopo qualche giorno ci siamo calmati e siamo tornati insieme. Ma lei non si fidava più. Ovviamente il suo richiudersi mi faceva sentire tagliato fuori, più paura, più gelosia, più ansia, più possessività. Era una lite continua, tutto un urlo. La gelosia reciproca, gli insulti detti e quelli ricevuti, che mi rimanevano impressi, mi ferivano. La rabbia che rimaneva sempre lì. Ma non me ne volevo rendere conto che non stava più bene, che alla fine di ogni litigio lei praticamente mi lasciava. Una volta, dopo l'ennesimo "è finita", ho fatto una delle cose più brutte e schifose che si possano fare: le ho sputato addosso. Ma nonostante questo continuavo a farmi sentire e alla fine lei finiva sempre per tornare. Avevo bisogno di lei, di sentirmi amato, in un momento difficile ho passato tre ore sotto casa sua per chiederle un abbraccio.

"LA LINEA DURA, QUELLA CHE CON ME FUNZIONAVA."
Per spronarla a fare qualcosa alzavo un po' la voce o lo dicevo in maniera molto dura. Ma non l'ho mai voluto fare con cattiveria, è il metodo che hanno sempre usato con me. Soprattutto mio padre. Quando da ragazzino ero bloccato, avevo problemi e non riuscivo a fare nulla, lui mi tirava su dal letto e mi diceva “Ora vai, vai a farti un giretto di corsa, ti scarichi e poi torni”. Con me funzionava, ma lei diceva: "Perché continui a sgridarmi?".

"C'ERANO ANCHE BEI MOMENTI."
Quando si andava via, che ne so, il week end al mare o a far dei giri. La chimica non è mai mancata, spesso mancava la comprensione: ma quando c'era, c'erano dei momenti bellissimi, di cui ho il ricordo più nitido, tutto il resto è sfuocato.  

"HO AVUTO PAURA DI BECCARMI UNA DENUNCIA."
Ci eravamo lasciati per l'ennesima volta quando è successo l'episodio peggiore. Elena è venuta da me con tutte le nostre cose e ha cominciato a dirmi che la sera dopo sarebbe uscita con un altro ragazzo: "Non ti sto neanche ad ascoltare - sorrideva e mi diceva - perché sto pensando a come vestirmi questa sera con lui." Le ho tirato un bicchiere d'acqua, lei mi preso a schiaffi, io non c'ho più visto e ho risposto con uno schiaffo a mia volta. Lei ha battuto la testa contro lo stipite di una porta ed è svenuta sul pavimento. La sera mi ha chiamato, stava andando al pronto soccorso. Io ero nel panico. Ho avuto paura anche di beccarmi una denuncia. Ma alla fine sono andato da lei e abbiamo passato la notte insieme. Insomma nessuno dei due ne veniva più a capo.

"SEI UN MOSTRO DISUMANO."
Durante le ultime liti io ero proprio fuori di me, grazie a Dio non ho toccato lei, ma per non toccare lei mi sono fatto del male da solo. Continuavo a non volerla lasciare andare, a non rispettare la sua scelta. Quando mi sono sentito dire da lei che quando ero così le facevo paura, che aveva paura per me, che "ci volevano le autorità", che ero "un mostro disumano", alla fine sono andato dai Carabinieri per un'autodenuncia. Mi sentivo sconfitto. Da solo non ce l'ho fatta, avevo solo peggiorato le cose, ho fatto del male, e tanto, alla persona che sono ancora convinto di amare.

LA STORIA CONTINUA...
La storia riprende da dove l'avevamo iniziata. Federico comincia a frequentare il centro per uomini che agiscono violenza, negli ultimi mesi passa dagli incontri individuali a quelli di gruppo. La relazione con Elena e le violenze si interrompono. Il percorso personale di questo giovane uomo continua. Lo ringraziamo per averci raccontato la sua esperienza e speriamo che voglia continuare a condividerla con noi. Intanto, vogliamo concludere con alcune riflessioni sulla sua esperienza con il servizio per maltrattanti e sulla dimensione sociale della violenza. Crediamo che storie come questa siano importanti: per uscire da tanti luoghi comuni, per capire di più della nostra concezione delle relazioni. E soprattutto di noi. Che ne pensate?

"RICONOSCERE GLI ERRORI SENZA DEMONIZZARSI."
Se non riconosci un errore in tutte le sue forme cambia poco e niente. Un'eventuale ordinanza restrittiva mi avrebbe tenuto lontano da lei, ma poi mi avrebbe lasciato da solo con i miei tarli. "Mostro" non è la parola giusta e il lavoro nel centro mi sta aiutando in questo senso. Credo che sia importante prestare attenzione anche a chi la violenza l'ha fatta, cosa ci sta dietro. 
È un percorso lungo, complicato: il confronto con gli altri mette veramente a dura prova; percepisci la loro sofferenza, il dolore di aver agito male e la volontà di comprendere per poter migliorare. La condivisione di questo tipo la trovo una cosa bellissima e assolutamente costruttiva. Io come tutti gli altri siamo lì per libera scelta, perché ci sentivamo persi.

"UNO SCHIAFFO NON È LA NORMALITÀ."
Ho capito che dovevo fare qualcosa quando ho visto la paura negli occhi di Elena. Penso che la gente sottovaluti tutto questo, quando parlo con i miei amici sembra che uno schiaffo sia la normalità. Anche per le donne.  I mass media comunicano la violenza come l'occhio nero ma ci sono forme molto più sottili e sottovalutate. Una parola può essere distruttiva, è violenza dire "troia" alla propria ragazza, anche durante una litigata. È fondamentale capire che ci sono tanti passi a cui non si dà importanza.

"LEI."
Io sono stato male, molto male. Credevo che lei fosse fragile e invece io andavo in pezzi. Ma so che Elena è molto provata da tutto quanto. Penso che il peggio l'abbia passato lei.



3 Commenti


Lorenzo
14/02/2015

Federico ed Elena sono due persone fragili. Non si fidano l'uno dell'altra. Sono gelosi. Hanno paura di perdersi. Forse una debolezza ereditata o sviluppatasi dal loro rapporto con i genitori. Sono insicuri. Possessivi. Federico è fiero dello status di modella della sua ragazza. È fiero della sua bellezza. Un po' poco per parlar d'amore. Elena diventa una ragione di vita per lui. Un ideale a cui dedicare gran parte del suo tempo. Lui stesso dice "troppo". Direi un sacrificio. In cambio del quale vuole il possesso. Inoltre nel suo racconto lascia intendere di aver ricevuto un'educazione rigida, dura. Usa il modello educativo ricevuto su Elena, usa toni da caserma, con pessimi risultati. Il racconto non lo dice, ma probabilmente c'è dell'alcool a scatenare gli episodi di violenza. Si parla di un forte litigio dopo una festa di compleanno... Secondo me entrambi hanno delle ferite. Mettere dell'alcool sulle ferite può disinfettare, ma brucia, brucia moltissimo. E poi non serve a curarle. Bisognerebbe dunque scavare, raggiungere le ferite di Federico, isolarle e curarle. Di Elena sappiamo ancora troppo poco. Per esempio, sta seguendo anche lei degli incontri di psicoterapia?


Richie
13/02/2015

il problema originario è che non si fidano l'una dell'altro: nell'amore assieme alla passione ci deve essere fiducia reciproca: se c'è quella non sono un problema le eventuali gelosie reciproche e neanche le litigate accese (ma non fisicamente violente) che in una coppia ci possono stare ma le botte no, non sono mai "la normalità". può non essere solo lui ad alzare le mani ma è sopratutto l'uomo che non deve picchiare: le botte di una donna a un uomo non fanno danni fisici seri (a meno che lei non sia una esperta di arti marziali), le botte di un uomo a una donna sì. Non so se dire "troia" alla propria ragazza durante un litigio (in cui certo si possono, da parte di entrambi pronunciare parole di cui dopo ci pentiamo) sia violenza ma è certamente una cosa da evitare, meglio ricorrere a offese unisex per quanto possibile durante un litigio acceso Ed è possibile "spronare" una persona (donna o uomo) senza umiliarla..ma poi "spronarla" a far che? federico non lo dice. comunque il timore di perdere l'altro è normale sia negli uomini sia nelle donne ma bisogna gestirlo per evitare che degeneri e ricordarsi che amore vuol dire passione ma anche fiducia reciproca..se ami qualcuno devi fidarti di lui o lei (può succedere di fidarsi della persona sbagliata ma è un altro discorso che esula da questa storia) altrimenti non serve a niente


Stefano
13/02/2015

Credo che servano più testimonianze sofferte ed esemplari come questa che tante disquisizioni psicosociologiche astratte sulla violenza di genere. Perché una cosa è teorizzare e mettere in luce aspetti causali inconsci generatori di violenza (cosa, sia ben chiaro, comunque utile, come tutto ciò che serve a far maturare la comprensione dei fenomeni), ma un'altra cosa (probabilmente più efficace) è una testimonianza concreta come questa, nella quale molte persone credo possano ritrovare indesiderati aspetti di sé che pure vorrebbero continuare a celare a se stessi. San Valentino e tutte le retoriche dure a morire sull'amore tra i generi sono la spia delle grandi difficoltà che incontrano le donne a liberarsi dalla dipendenza affettiva "tipo vittima", ma anche delle difficoltà (probabilmente maggiori) che incontrano gli uomini anche solo a prendere atto di avere una dipendenza affettiva "tipo carnefice". In entrambi i casi occorre chiedere aiuto. Le donne lo stanno imparando perché mediamente sanno guardarsi dentro, gli uomini sono ancora agli albori perché per costituzione biologica e culturale lo sanno fare solo di rado. Ben vengano testimonianze così, perché purtroppo la retorica sull'amore ha occultato tutto questo per troppo tempo, impedendo la consapevolezza nelle relazioni e favorendo così la continuazione della violenza.


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