La Rete dei pregiudizi rinchiude anche i maschi.

di Liceo Galvani, IV M

La Rete dei pregiudizi rinchiude anche i maschi.

Per il progetto NoiNo.org Lab al Galvani, Ludovica, Carlo, Ilaria, Francesca ed Elisa della Quarta M hanno formato un gruppo che, partendo da questa notizia di cronaca, prima si sono interrogate sulla responsabilità di chi contribuisce alla violenza on line con commenti e condivisioni, poi hanno allargato il campo. Chiamando in causa prima di tutto noi maschi, non solo come autori di violenze, ma anche come vittime. Le ragazze fanno domande impegnative. Qualche ragazzo se la sente di dire la sua?

"Ma guarda che troia" "Poi si lamentano se la gente le stupra" "E ha il coraggio di dire che non se l'è cercata?"
Questi sono solo alcuni dei commenti che si leggono sotto una foto come quella della quindicenne Chiara – una foto che era intima e tale doveva restare, e che invece è stata pubblicata su Facebook per vendetta dall'ex-fidanzato. Quante volte* avete sentito commenti del genere, che colpevolizzano chi, come Chiara, è stata vittima della violenza degli uomini? 
I giovani sono i primi a dimostrare questi comportamenti, ma anche i primi a sostenere che la violenza di genere non li riguardi perché una donna, loro, "non la toccherebbero nemmeno con un fiore". Perché, fare un commento sessista non è violenza?
La violenza di genere non è un fenomeno che nasce dal nulla, dalla mente di pochi uomini malati o con un ego troppo fragile per sopportare un rifiuto, è il frutto di una cultura sessista che permea da millenni la nostra società, fatta di abitudini, di silenzi, di battute, di modi dire. 

"Donna al volante, pericolo costante". Una frase apparentemente innocua, non trovate? Quando è l'uomo alla guida, viene pronunciata quasi sistematicamente. In realtà, le statistiche dimostrano esattamente il contrario. Ed è solo un piccolo esempio di sessismo quotidiano: ma questi stereotipi, che vogliono un uomo "forte" e una donna "inferiore", persistono in ogni campo. L'immagine di donna che ne viene fuori è fortemente indebolita. Non è un caso che gli stereotipi legati alla sfera sessuale vadano a colpire proprio le donne che si allontanano dall'immagine di figlia/moglie/madre "tutta casa e chiesa". Basta vedere come nella concezione attuale se un uomo non vuole impegnarsi e preferisce avere relazioni occasionali viene definito "un grande", "un Don Giovanni", ed eretto a mentore della compagnia, mentre se per una donna accade lo stesso, viene immediatamente etichettata come una "poco di buono". Se per un ragazzo perdere la verginità il prima possibile sembra quasi una sorta di sfida, una ragazza deve tenersela stretta fino al matrimonio, per non diventare "una facile", ma al contempo concedersi a tutti quelli che ci provano con lei, a meno di non voler passare per "frigida"

Ma chi pensa che gli stereotipi e il sessismo siano cose che riguardano solo il mondo femminile non sa quanto si sbaglia: anche gli uomini sono intrappolati in canoni a cui devono attenersi, e il caso di Chiara ne è un esempio. Non che tutti gli uomini si vendichino in maniera simile, ma tra i fattori che spingono gli uomini a comportamenti del genere sono presenti proprio alcuni di questi stereotipi maschili. Alle donne è concesso piangere e sfogarsi, mentre agli uomini tutto questo è negato, una reazione troppo sensibile per un uomo "forte". Perciò il ragazzo di Chiara, che non può sopportare di uscire da una relazione in una situazione di "inferiorità" perché è stato lasciato, deve vendicarsi, per riscattare se stesso e la sua posizione. 

Questa netta divisione nasce da un tipo di educazione volta a far capire fin da subito ai bambini quali sono i comportamenti che gli competono, in quanto maschio o in quanto femmina. Un bambino potrà sporcarsi nel fango o tirare i capelli alla sorellina perché "i maschietti sono sempre più esuberanti", ma guai a lui piangere per una sbucciatura. Al contrario, una bambina crescendo si sentirà ripetere milioni di volte che deve fare la "brava" perché solo così potrà diventare una vera signorina. Il problema è che, per le donne, essere "brave" spesso significa sopportare delle cose che non dovrebbero mai sopportare. È il caso della violenza, ma anche di qualunque altra forma di abuso maschile, che le donne sono abituate a considerare come qualcosa di normale. Quando di normale, in uno sconosciuto che fischia quando attraversi la strada, o in un amico che finge di starti accanto quando in realtà cerca solo di portarti a letto (per poi lamentarsi se finisce nella cosiddetta "friendzone") non c'è proprio niente. Ma ogni volta che le ragazze tentano di controbattere sono liquidate con la scusa degli ormoni o dell'irrazionalità femminile. È di questa educazione che si nutre la violenza di genere, perché, invece di amplificare la voce delle vittime, la nasconde sotto un marasma di "sta esagerando", di "l'ha provocato" e di "se l'è cercata". Proprio come in quei commenti di Facebook sotto la foto di Chiara. Ora non sembrano più tanto ingenui adesso, tanto divertenti.
E voi, quante volte vi siete resi conto di aver assistito silenziosamente a scene come questa, senza muovere un dito? Combattere la violenza di genere significa partire da queste "piccole" cose, per trasformarle in grandi cambiamenti. 

*176 ragazzi/e su 586 dichiarano che qualcuno li ha mai minacciati di rovinare loro la reputazione sul web (ricerca dell'Università di Modena e Reggio Emilia).



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