Prima della violenza: una mobilitazione al maschile.

di redazione di NoiNo.org

Prima della violenza: una mobilitazione al maschile.

Dopo le ultime, atroci, storie di violenza maschile contro le donne molti uomini hanno preso la parola pubblicamente. Un moto di indignazione ha attraversato giornali e social network, spesso traducendosi in retorica, giustizialismo, puro meccanismo virale. Come evitare che tutto questo si esaurisca in pochi giorni e contribuire invece a tradurlo in cambiamento culturale e sociale? 
Trenta uomini sul blog del Corriere della Sera La27esimaora lanciano la proposta di una nuova giornata nazionale contro la violenza maschile per prendere parola come uomini e per "diffondere al massimo la sensibilità e l'impegno fra tanti ragazzi e adulti ancora troppo silenziosi, isolati e confusi".
Ne abbiamo parlato con Stefano Ciccone di Maschile Plurale, tra i firmatari dell'appello.

Come è nata l'idea di una nuova giornata contro la violenza sulle donne? E perché un'altra giornata "al maschile" prima del 25 novembre e non un 25 novembre unitario di uomini e donne?
Più che una nuova giornata serve un impegno continuativo che vada oltre le ricorrenze o le reazioni al singolo episodio. Da anni collaboriamo con i centri antiviolenza e con le associazioni di donne partecipando alla giornata del 25 novembre e alle tante iniziative costruite nelle scuole, nelle carceri, nelle università, nei quartieri. Anche quest'anno lavoreremo insieme, donne e uomini al 25 novembre per ricordare che la violenza è un fenomeno strutturale, figlio di una cultura diffusa e radicata. Quest'anno abbiamo sentito l'esigenza di fare un passo in più: proporre un appuntamento in cui gli uomini in prima persona prendano la parola contro la violenza e mettano in gioco se stessi. Come stiamo nei ruoli familiari consolidati? Come ci troviamo nei modelli di genere imposti a donne e uomini? E cosa ci dice la violenza contro le donne? Possiamo dirci estranei a un'idea di amore in cui la "protezione" si confonde col controllo e la passione col possesso? Non basta aderire o sostenere le iniziative delle donne che hanno la loro peculiarità e autonomia. Serve un'assunzione di responsabilità maschile e serve anche la capacità di andare oltre la condanna e la denuncia: come uomini dobbiamo misurarci con i nostri desideri e con la qualità delle nostre vite e delle nostre relazioni. Quale cambiamento vogliamo?

Nel vostro ragionamento esiste un collegamento profondo tra gli stupri e i femicidi degli ultimi giorni, la strage di Orlando, le violenze contro donne e uomini migranti alle frontiere, la tratta. Ce ne parli?
La violenza non è un gesto di trasgressione o di devianza: è parte di una dinamica di riconferma di un ordine gerarchico. Un ordine gerarchico tra uomini e donne ma che ordina tutta la realtà: tra attivo e passivo, tra razionale ed emotivo, tra culturale e naturale… in questa gerarchia il maschio bianco, eterosessuale, produttivo, occidentale, capace di dominare razionalmente il proprio corpo e la natura corrisponde a un modello di potere che va oltre le relazioni tra i sessi. Concepisce tutte le differenze come disparità e come soggezione. Il valore della virilità, a cui oggi molti si appellano pensando contrastare la violenza maschile ("i veri uomini non picchiano, chi è virile sa dominarsi"), è in realtà il riferimento che rappresenta come inferiori gli altri: gli uomini effemminati, le razze non civilizzate, le donne incapaci di dominare la propria corporeità ed emotività. La virilità chiede di essere continuamente verificata e riaffermata: da quando a tre anni veniamo incitati a dimostrare di non essere una femminuccia a quando l'insulto verso l'omosessuale è il gioco di gruppo di conferma e di vigilanza reciproca tra maschi. Ma questo dimostra anche come la violenza contro l'altro e l'altra sia un dispositivo di controllo e di disciplinamento per tutti gli uomini. Nella violenza c'è anche la perdita della nostra libertà.

Nell'appello giustamente ricordate che non partiamo da zero: in questi anni la consapevolezza nel nostro paese è cresciuta anche grazie al lavoro di molti uomini, dal quel primo appello di uomini contro la violenza maschile lanciato ormai 10 anni fa. "Ma tutto questo - denunciate nel vostro scritto - resta ancora troppo poco visibile e diffuso nella società e sui media, poco riconosciuto dalla politica e dalla cultura". Come possiamo agire sul piano mediatico e comunicativo per cambiare la logica dell'emergenza che oscura il lato strutturale del problema?
Di violenza si parla molto più che nel passato ma se ne parla ancora molto male. E spesso la narrazione dei media è tutta interna alla cultura che produce o giustifica la violenza. Raccontare le donne schiacciandole nel ruolo di vittime, di soggetti deboli bisognosi di protezione conferma l'esercizio del controllo e della protezione maschile che spesso sfociano in violenza. Raccontare la violenza come un'emergenza porta alla domanda di pene più severe ma rimuove socialmente un'assunzione di responsabilità: l'emergenza, come la grandine, è qualcosa di estraneo alla nostra "normalità" il cui contrasto va delegato alla protezione civile o alle forze dell'ordine. La violenza chiede di ripensare la nostra idea di famiglia, il nostro ideale di amore, il nostro immaginario sessuale. Per questo colpisce il silenzio degli intellettuali uomini, dei politici. La novità di queste settimane che abbiamo voluto cogliere con questo invito è proprio la presa di parola di uomini pubblici, di editorialisti dei grandi quotidiani che possono aiutarci a far uscire questa riflessione da una nicchia. Ovviamente questo vuol dire anche confrontarci, e magari confliggere tra letture e proposte differenti. Io, ad esempio, non condivido l'idea che il contrasto alla violenza si possa affidare a una "civilizzazione" dei comportamenti maschili. Non c'è una natura violenza da civilizzare ma piuttosto una civiltà basata sul dominio che va ripensata.

Che indicazioni possiamo dare a uomini che non fanno parte di nessun gruppo ma hanno voglia di partecipare a questo percorso? A chi possono rivolgersi nei diversi territori?
Stiamo ricevendo molte richieste di partecipazione da parte di singoli e gruppi di tante città. Oggi esiste una rete di gruppi e associazioni in molte regioni. Sul sito www.maschileplurale.it esiste una mappa di molte associazioni locali ma questa iniziativa va oltre la rete di maschile plurale. Contattandoci all'indirizzo primadellaviolenza@gmail.com troveremo insieme il gruppo più vicino e le occasioni per avviare uno scambio e costruire insieme occasioni di incontro e iniziativa. La nostra idea è di costruire iniziative locali nei prossimi mesi per poi arrivare a un appuntamento nazionale a fine ottobre. Chiediamo ad ognuno di dare il proprio contributo: coinvolgendo le scuole e le università, proponendo linguaggi diversi (dal teatro ai video), proponendo punti di vista e riflessioni che aiutino ad approfondire e ampliare una riflessione comune.  È un percorso aperto a tutti e che, ovviamente, vogliamo vivere in continuo dialogo e confronto anche con le donne.

Foto CC Penn State da Flickr



3 Commenti


Richie
05/07/2016

e in amore ci si protegge a vicenda, la passione è reciproca e non è violenza. proteggere chi amiamo è giusto, controllarne i movimenti, impedirgli di vedere gli amici, soffocare la libertà della persona non è amore


Richie
05/07/2016

e poi si è giusto dire che gli uomini che picchiano le partner non le amano, quello non è amore, e non c'è nulla di virile


Richie
05/07/2016

nella virilità non tutto è da buttare. esiste una mascolinità sana non razzista e non misogina. secondo me bisogna togliere la mascolinità dalle mani dei fascisti che l'hanno sporcata. Poi forza, razionalità, debolezza e irrazionalità possono appartenere a uomini come a donne


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