di Claudio Tovani
Avete mai visto lo spot dei pannolini Huggies "Bimbo/Bimba"? Di sicuro non di recente né in tv, perché è stato accusato di sessismo, segnalato allo IAP (l'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria) e successivamente ritirato, tra le polemiche. Ecco il punto di vista del promotore del Gommone Rosa, decisamente "pro-ritiro": per l'occasione, Claudio si toglie la muta da sub antiviolenza e veste i panni del "telespettatore critico". Qualcun altro vuole dire la sua, da utente di pubblicità, corresponsabile dell'educazione di figli e figlie, uomo? Scrivete un commento!
In questi giorni mi sono trovato spesso a discutere della decisione dello
IAP di far ritirare lo spot che a inizio giugno proponeva pannolini diversi per maschietti e femminucce. Come molti sapranno la decisione è stata presa dopo aver analizzato svariate segnalazioni di utenti che ritenevano lo spot sessista e offensivo. Per chi volesse approfondire, la decisione dello IAP è espressa
integralmente qui.
Prima di elencare i motivi per cui la scelta dello IAP è a mio avviso non solo legittima ma anche corretta, penso sia giusto ricordare che l'accusa di sessismo non era legata alla differenziazione sessuale del pannolino (che bimbi e bimbe facciano pipì in posti diversi bagnandosi in modo diverso lo sanno anche i sassi) ma a due messaggi in particolare:
per la bambina gli stereotipi del pensare a "farsi bella", "cercare tenerezza" e "farsi corteggiare da un uomo";
per il bimbo il ricorso al desiderio di "fare goal", di "avventure" e "cercare le donne".
E adesso iniziamo.
La legittimità
Lo IAP è un ente privato a cui si associano le aziende del settore pubblicitario che pensano che la pubblicità debba essere "onesta, veritiera e corretta".
L'associazione allo IAP non è obbligatoria. Se un'azienda nel settore della pubblicità decide che non vuole porsi o farsi imporre delle limitazioni in questo senso, non si associa e continua a fare il suo lavoro senza alcun tipo di sanzione.
Se un'azienda decide di associarsi allo IAP (perché crede nella sua missione o meramente per avere maggiori opportunità commerciali), deve accettarne le direttive anche quando sono a suo sfavore.
Lo IAP non fa ritirare uno spot o un'affissione perché qualcuno ha fatto una segnalazione. Lo fa solo se ritiene, dopo aver analizzato il messaggio dal punto di vista deontologico, che l'offesa sia reale. Per la cronaca, moltissime segnalazioni allo IAP non si traducono affatto nel ritiro del messaggio pubblicitario; per dirla tutta, l'evento è piuttosto raro.
Quindi, essendo un organismo di autodisciplina che ha potere solo su chi sceglie volontariamente di condividerne la filosofia, lo IAP ha tutto il diritto di prendere la decisione che più ritiene opportuna in merito al lavoro dei suoi associati.
La validità
Nella sua ingiunzione lo IAP dice in sostanza che il modello proposto (ricordate bene, per vendere pannolini) basato su un maschietto "goleador, cacciatore e avventuroso" e una femminuccia "bella, madre e preda" viene sentito da una parte della popolazione come vecchio, banale e ostacolante in una società alla ricerca di un modello moderno e paritario.
Mi sento di sposare completamente questa teoria, perché la sento molto vicina.
Come maschietto non ho mai giocato a pallone, e negli anni ho imparato a sopportare gli occhi sgranati di chi apprendeva che non ho una fede calcistica. Non avendo nemmeno la passione della Formula 1, ho passato molti lunedì mattina tagliato fuori dalle conversazioni maschili aspettando pazientemente che arrivasse il martedì. Questo però non mi ha impedito di avere ottime possibilità di lavoro, opportunità di carriera e uno stipendio che è sempre stato mediamente più alto delle mie coetanee nello stesso ruolo e settore. Diciamo che ho pagato con un po' di noia il fatto di essere poco omologato, la stessa noia che puoi provare quando il trentasettesimo negoziante di Sharm ti abborda con il trentasettesimo "ciao bellicapelli": al primo ridi, al secondo sorridi, dal terzo in poi... du'palle!
Ma se mi metto nei panni di una donna istruita, che voglia mostrare quanto valga, consapevole di non avere niente in meno di un uomo in termini di capacità e volontà, abituata però suo malgrado ad accettare salari più bassi, a sentirsi chiedere ad ogni colloquio se ha intenzione di fare figli (a qualche uomo è mai capitato?), avezza a vedersi passare davanti colleghi maschi spesso solo più maschi e non più qualificati... ecco se mi metto in quei panni, quanto può darmi fastidio vedermi proporre per l'ennesima volta un modello in cui la sintesi delle mie ambizioni è essere la preda di un avventuroso cacciatore? Io penso che per me quel fastidio in una scala da uno a cento sarebbe... tre milioni, altro che "du' palle"!
Se poi penso che quel modello mi viene scaricato addosso per vendere dei pannolini con assorbenza differenziata la rabbia mi sale ancora di più, perché penso che il "creativo" di turno su quei due bambini avrebbe potuto scrivere qualcosa del tipo: "potranno esplorare lo spazio, o diventare entrambi etoiles del balletto, ma faranno sempre la pipì in modo diverso e noi oggi ti aiutiamo a dar loro il massimo del comfort" . E invece no, rieccoci con l'apoteosi della banalità, con un messaggio che strizza l'occhio a un modello che sarebbe anacronistico e stantio in qualunque altro paese europeo, ma che purtroppo qui da noi continua a essere considerato "simpatico", e che contribuisce a tener ben ancorato nel nostro inconscio l'idea che no, le femmine non valgono quanto i maschi. O peggio, valgono solo in funzione di quanto il maschio le apprezza.
Alcuni controbattono dicendo che la pubblicità ha un altro scopo, un'altra finalità, ovvero vendere. E va bene.
Che non possiamo aspettarci che sia la pubblicità a formare le coscienze sociali. Ok, va bene anche questo , salvo il fatto che se non deve costruirle per par condicio non dovrebbe nemmeno polverizzarle.
Che la pubblicità NON PUò seguire questa logica.
E qui la mia temperanza dà forfait, perché se capisco il non obbligo etico e la logica del profitto, non riesco a rassegnarmi al fatto che una persona o un'azienda venga deresponsabilizzata dalle scelte sociali che fa.
La pubblicità PUò eccome seguire una logica etica, basta che lo voglia e lo IAP ne è la prova. E se non vuole, io come utente e destinatario finale del suo messaggi ho tutto il diritto di imbizzarrirmi e fargli notare che quello che mi dice non mi piace, mi offende e che ho intenzione di boicottare il suo cliente.
Forse non ho il potere di cambiare le cose ma ho il diritto di provarci, così come l'agenzia della Huggies ha il diritto di provare a propinarmi banalità.
Ci sono anche motivi più personali che mi portano a essere fortemente infastidito da questa cristallizzazione di modelli che tutto sono tranne che paritari.
Mi basta pensare alle due giovani donne che adoro e che vedo crescere anno dopo anno, e al fatto che sinché questo immaginario collettivo e preistorico di cacciatore e preda non verrà seppellito ci sarà sempre un idiota che si sentirà in diritto di approcciarle nel modo che più riterrà opportuno, sentendosi forte, giustificato e deresponsabilizzato dal fatto che "l'uomo è cacciatore", come se fosse un destino anziché una scelta.
Qualcuno potrà pensare che tutte queste considerazioni sono autoerotismo mentale, che le conseguenze e gli scenari a cui arrivo partendo da una banale pubblicità sono eccessivi e apocalittici.
Opinione legittima, naturalmente; ma sono convinto che la strada per una società paritaria sarà in salita ancora a lungo, e che quando sei impegnato in uno sforzo importante qualunque inutile ostacolo debba essere evitato o rimosso il più efficacemente possibile.
Se un creativo banale e svogliato può essere un ostacolo per la parità dei sessi, segnalare il suo lavoro ha chi ha diritto e titolo per valutarlo è solo un doveroso pragmatismo.
L'immagine fotografica non è tratta dallo spot Huggies.