Le domande di Daniele: psicologo, uomo.

di Daniele Guoli

Le domande di Daniele: psicologo, uomo.

Tutti immaginiamo che gli psicologi facciano domande: in effetti Daniele Guoli, nel primo post per la nostra rubrica, ne fa un sacco. Ma le pone prima di tutto a sé stesso, ed è pronto a rispondere alle vostre. 32 anni, Daniele si è formato nel trattamento della conflittualità di coppia e della violenza nelle relazioni di intimità secondo il metodo sviluppato dal centro norvegese Alternative To Violence. Dal 2012 è operatore del servizio Uomini non più violenti si diventa, un progetto di ascolto e trattamento della violenza maschile dell'associazione culturale Forum Lou Salomè attivo a Milano, Magenta, Lodi e Varese. 
 
Mi presento brevemente. Sono un uomo. Sì, faccio lo psicologo: ma la mia professione non mi fa dimenticare quanto occorra mettermi in gioco personalmente per affrontare il tema della violenza all'interno delle relazioni di coppia.
Lavorando con uomini autori di violenza domestica mi sono trovato ad avere a che fare con un mondo in gran parte oscuro: nel senso che è sconosciuto ai più, e prima di tutto a noi stessi. La voce maschile, all'opposto di come si potrebbe pensare, è una voce a basso volume e fragile, timorosa dell'emotività. Riusciamo a parlare di noi, ma per difenderci, far sapere all'altra che se c'è un errore non può essere nostro. Temiamo di scoprirci almeno in parte responsabili, di ammettere che qualcosa dentro di noi va interrogato. Ecco, afferrare qualcosa di noi che non ci è chiaro e fargli luce, trovare la forza (a mio avviso la vera forza) di parlarne, è l'inizio di un processo faticoso ma appagante. Non provarci neanche può voler dire rimanere all'oscuro, nascosti agli altri e a noi stessi: e anche questa è una forma di violenza, anche se non è rivolta contro un'altra persona. Questo blog può essere un primo spazio sul quale affacciarci, anche solo un poco, e scoprire qualcosa di noi. Un buon modo per cominciare è farci qualche domanda.

Ad esempio, riflettendo sulle incomprensioni quotidiane in una relazione di coppia: quando siamo di fronte a un problema, non avete l'impressione che uomini e donne abbiano un modo diverso di affrontarlo, che quando "noi" ci ritiriamo, "loro" ne vogliono parlare? Perché spesso una reazione ci sembra poco rispettosa o invadente? Maschi e femmine affrontano uno stress nello stesso modo? E come mai il linguaggio che usiamo a volte, invece di creare comunicazione, ci ferisce o crea incomprensioni? Quando sentiamo che perdiamo il controllo, che cosa arriviamo a commettere? E, altrettanto importante: davvero abbiamo perso il controllo, o forse "scegliamo" di perderlo?
Io credo che ci siano effettivamente delle differenze, dovute non tanto a diverse "nature" maschili e femminili, quanto piuttosto alla nostra cultura: un cultura ancora fortemente maschilista e una dura divisione dei ruoli di genere, imposta sia agli uomini che alle donne e, almeno fino a poco tempo fa, condivisa da entrambi.

Questi sono alcuni dei problemi che vorrei affrontare in questi mesi. Ma per darvi un anticipo sul prossimo post, vi pongo questa domanda: alzare la voce é violenza? E se sì, come faccio a capire quanto e in che modo? E se fosse una difesa legittima di fronte a un "attacco" esterno, cosa mi spinge interiormente a farlo? Orgoglio, rabbia o paura? Lo vedremo. 
Naturalmente trovare le risposte, nella realtà, non è così semplice. Ma comprendere e chiarire queste dinamiche, oltre che a farci riflettere, aiuta a prevenire la conflittualità che troppo spesso ci porta verso la violenza.
La violenza in ogni sua forma è un tema complesso e scottante, con cui, ne sono sicuro, ci siamo spesso scottati. Credo che molti di noi abbiano vissuto direttamente situazioni che creano un senso di frustrazione, risentimento o impotenza. Per questo suggerimenti, domande e testimonianze sono ben accetti, purché si tratti davvero di un desiderio di aprire un dialogo. Basta che aggiungiate un commento qui sotto.
Buoni pensieri a tutti.

Foto di Mr. Connor da Flickr - CC Creative Commons



8 Commenti


Carlo
07/02/2015

Ancora con la società maschilista, patriarcale e violenta? Questo in un paese dove in un qualsiasi tribunale civile le donne sono la maggioranza assoluta tanto tra gli avvocati quanto tra i magistrati, gli ospedali hanno da decenni donne ai livelli più elevati della carriera e potrei continuare su altri campi. Questo modulo ripetuto acriticamente, a pappagallo, con la richiesta di autofustigazione del maschio sempre e comunque ha sinceramente rotto i coglioni. Non esiste locuzione meno esplicita di questa. Probabilmente siete voi i violenti e proiettate i vostri comportamenti malati su tutti gli altri.


Daniele Guoli
04/02/2015

Ringrazio tutti per i commenti, e Paolo per esporsi. Nel suo caso, l'ammissione, la messa in gioco, il "io che posso fare.." è il punto di partenza. Paolo dice: "La cosa paradossale è che ritenevo una azione violenta lontano dai miei modi di pensare..". Questo è un punto fondamentale, che nelle mie conferenze cerco di affrontare come punto principale. Il problema della violenza ci appartiene? Quando ascoltiamo alla televisione, sui giornali, notizie di coppie "scoppiate", spesso o sempre ascoltiamo di omicidi, acidi che sfigurano, o qualche storia accattivante. Pensiamo: che effetto fa su di noi? "Figurati se potrò io ad arrivare a fare qualcosa del genere.."; emotivamente ci coinvolgono ma personalmente ci distanziano. Ciò che ci raccontano non è falso, ma è l'estremo, la fase finale e cronicizzata di anni di violenze; violenze che nascono spesso, molto tempo prima, da parole, gesti, o anche sguardi fugaci, ma terribili per chi li riceve. Dobbiamo far sì che sentiamo questo problema come NOSTRO, essendo Noi Tutti, nati e cresciuti in una società generalmente violenta, intesa anche quando si parla di maschilismo, o di ruoli marcati. E possiamo cominciare a farlo dal linguaggio che usiamo, da come ci poniamo anche con gli amici al bar parlando di "donne", e appunto, dal metterci in gioco. E, come dice giustamente Francesco, i nostri bambini; emotivamente li stimoliamo o li inibiamo? Stefano ci parla di "sviluppo dell'emotività femminile", esattamente: noi maschi tendiamo a chiuderci, a non parlare di cosa sentiamo, trovando ciò una noia, stancante, inutile o difficile. "Preferisco chiudermi in stanza finché non ho risolto quel problema.."; proviamo invece a parlarne, anche solo emotivamente, dando la precedenza a COME ci sentiamo e poi a come risolverlo. Vediamo cosa succede.


Francesco Olivieri
28/01/2015

Condivido il pensiero di Daniele. Porsi degli interrogativi serve a cercare delle risposte. Ho vissuto per anni nella mia famiglia, e per anni ho assistito ad episodi di violenza sia fisica che verbale. Forse è per questo che come drammaturgo e scrittore, oggi sento il dovere di raccontare le storie di violenza, per smuovere le coscienze. Credo sia necessario però lavorare molto sui bambini e i ragazzi, dare loro gli strumenti adatti per cambiare la visione del mondo. Il teatro in questo può fare tanto, perché racconta e narra quelle storie che spesso divengono abitudine mediatica. Credo sia anche necessario creare uno sportello di aiuto all'interno delle carceri, che spesso sono solo box per rafforzare le debolezze umane, mentre potrebbero essere luoghi di formazione, di sviluppo e di reintegro nella società. Francesco Olivieri


Stefano
22/01/2015

Capisco Paolo. Il fatto e' che, secondo la mia esperienza sessantacinquenne di figlio, marito, padre di una figlia, nonché psicoterapeuta e insegnante, mi sono abbastanza convinto che noi uomini siamo molto, molto fragili. E purtroppo di questa nostra fragilità fanno le spese le donne. Siamo troppo deboli (mediamente parlando) sul piano emotivo, dove qui siamo davvero inferiori, autentico sesso debole. E' la conseguenza di una lunghissima costruzione culturale che ha promosso una presunta superiorità maschile a partire dall'unica superiorità che ha l'uomo sulla donna: quella muscolare. Anche se siamo persone sensibili, di buoni principi ecc., paghiamo dazio a tale costruzione perché essa si è, a parer mio, biologizzata nei secoli: i l genotipo maschile, raramente contrastato da una cultura dell'empatia e della solidarietà, continua a fare stragi di donne, in tutte le epoche e sotto tutte le latitudini del globo. Occorre sviluppare con pazienza e umiltà la sensibilità "femminile" contrastando sia i tratti sessuofobici sia quelli sessuofili della società, evitare la tentazione di "scorciatoie" come il machismo e il "paritario" consumismo sessuale in quanto entrambi impediscono un reale e profondo incontro emotivo tra i generi. E quando ci sorprendiamo ad avere atteggiamenti violenti sulle nostre compagne, dobbiamo avere l'umiltà di riconoscere questi tratti violenti anziché negarli, e ricorrere a professionisti o centri per avere subito lumi per poterli contrastare. Prima che succedano cose che non avremmo mai pensato di commettere.


Raffaello
22/01/2015

Ciao a tutti. Sono contento che ci sia uno spazio di riflessione e confronto su questo tema che credo abbia radici talmente profonde in seno alla nostra cultura che se riuscissimo a riconoscerle e sradicarle l\'intero assetto sociale muterebbe. Nel mio lavoro di psicoterapeuta mi confronto spesso con il vissuto di coloro che si sentono vittime di violenza. In questa sede mi voglio concentrare su un aspetto che pone Daniele quando chiede se alzare la voce sia violenza. \r\nPer quanto mi riguarda trovo che una distinzione utile sia quella tra rabbia, aggressivit? e violenza. Penso che l\'emozione della rabbia (ed a monte l\'aggressivit?) sia lecita, mentre indico come illecita la violenza in quanto comportamento \"agito\" lesivo e irrispettoso dell\'altro e fallimento di una comunicazione autentica. Es: l\'uomo prova frustrazione per le aspettative e le richieste della compagna, ma per educazione non ha imparato ad ascoltare queste sue emozioni e a comunicarle: \"cara, in questo momento provo un forte disagio per le tue richieste e sento rabbia e risentimento. Ho bisogno che tu mi ascolti e capisca queste mie emozioni\". Avete mai pensato di rivolgervi cos? alla vostra compagna? Io conosco pochi uomini in grado di farlo: significherebbe mostrare la propria emotivit? ossia (secondo gli uomini) la propria fragilit?. E gli uomini non possono permettersi di essere fragili!\r\nA seguito della negazione della propria fragilit?, gli uomini falliscono nella comunicazione autentica e diretta dei propri sentimenti e trovano come unico canale comunicativo l\'espressione violenta. \r\nQual\'? la soluzione? Un cambiamento culturale che trasformi le aspettative nei confronti degli uomini: anche noi siamo esseri umani fragili e bisognosi di comprensione. Ed abbiamo il dovere di assumerci la responsabilit? dei nostri vissuti e la responsabilit? di imparare a comunicarli, cercando nuove formule. Il riconoscimento della fragilit? pu? essere la vera forza.\r\nMi sto dilungando...spero che queste mie riflessioni possano essere di spunto.


Iacopo
22/01/2015

Ciao a tutti mi chiamo Iacopo ho 22 anni non sono sposato ne fidanzato al momento. Nella mia famiglia ci sono due presenze femminili mia mamma e mia sorella maggiore; che amo, ma non nascondo che certe volte abbiamo litigato e senza episodi estremi comunque siamo arrivati alla violenza verbale e fisica. Certe volte ho paura di rivivere situazioni del genere anche con una futura compagna. La violenza deve essere condannata sempre, ma è evidente che la sottovalutiamo troppo e in certi casi la confondiamo con la difesa approfittandocene. Se dovessi definire la violenza direi che essa è la volontà di vincere e vendicarsi ad ogni costo.


PAOLO
22/01/2015

Mi sento preso in pieno. Qualche giorno fa ho alzato le mani su mia moglie, anzi peggio gliele ho messe sul collo, per un attimo avrei voluto strozzarla. Non consideratemi manesco, anzi ritengo chi usa le mani per avere ragione un debole, e sono stato debole. Per un attimo ho perso il controllo di me a causa di una discussione,non sono riuscito a rompere la catena che mi metteva in difficoltà, chiedevo di smetterla e invece lei non capiva. Da allora non sto bene, nonostante le abbia chiesto scusa(anche se queste cose non si scusano) e sappia di avere almeno l'attenuante di una situazione complessa in casa che ha portato a questo, la cosa ha messo un'ombra tra me e lei. La cosa paradossale è che ritenevo una azione violenta lontano dai miei modi di pensare e ritenevo i violenti delle persone che avevano fallito il loro confronto con persone, la cosa brutta è che ho avuto conferma del mio pensiero.


Redazione di NoiNo.org

Grazie a Iacopo, Raffaello, Stefano e in particolare a Paolo per essersi esposto personalmente. A quest'ultimo ci sentiamo solo di dire che un uomo che riconosce di avere un problema non è "un debole": forse certi comportamenti ce li ha più facilmente proprio chi ritiene di dover essere sempre "forte". Forse i "più forti" di tutti sono proprio quelli che continuerebbero a dare la colpa a  qualcun altro. Se vuoi proseguire il confronto noi siamo qui, ma forse puoi già trovare sostegno più concreto in un centro di ascolto per gli uomini che compiono violenza: non sappiamo dove sei, ma qui trovi i link ai centri aperti in Italia, qui un'intervista a Daniele e qui quella a uno degli psicologi del centro LDV di Modena, che dovrebbe aprire il servizio anche a Parma


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