07/12/2021
Elena Biaggioni è un'avvocata impegnata contro la violenza maschile sulle donne e nello specifico contro la diffusione non consensuale di immagini sessualmente esplicite. È vicepresidente del Centro Antiviolenza di Trento ed è attiva allinterno della Rete nazionale antiviolenza D.i.Re - Donne in rete contro la violenza. Le abbiamo rivolto alcune domande per approfondire anche dal punto di vista giuridico questa forma di violenza di genere online.
Che cos'è la diffusione non consensuale di immagini sessualmente esplicite o intime? Ci potresti tratteggiare il fenomeno e chi sono le vittime principali e i principali autori?
La diffusione non consensuale di immagini sessualmente esplicite è una forma di violenza e rientra nella più grande categoria della cyber violence (violenza commessa con mezzi informatici), ma soprattutto è una delle tante forme in cui si manifesta la violenza maschile contro le donne.
Il nostro codice ha regolamentato questa specifica forma di violenza solo nel 2019 con il cosiddetto Codice Rosso, la l. 69 del 2019 che ha introdotto il reato di cui all'art. 612 ter c.p. che punisce [...] chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, [...] chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento."
Il fenomeno è noto da tempo, da ben prima del 2019 ed è in costante aumento. Semplicemente l'aumento dell'accessibilità a internet, la diffusione di apparecchiatura informatica mobile e l'uso esteso dei social media hanno offerto nuove opportunità e nuovi modi con cui agire violenza nei confronti delle donne.
Le principali caratteristiche di questa forma di violenza, e quelle che la rendono particolarmente insidiosa, sono tre: la potenzialità di diffusione e quindi di raggiungere un numero indeterminato e altissimo di persone, la facilità e rapidità di tale diffusione e l'anonimato per l'autore facilmente ottenibile nei social media.
Le donne sono particolarmente esposte a queste forma di violenza, mentre per quanto riguarda gli autori bisogna distinguere tra il primo soggetto che pubblica le immagini e la diffusione successiva. Se chi pubblica le immagini per primo è spesso un ex partner o soggetto che ha avuto una relazione con la donna, chi diffonde può essere uomo o donna con meccanismi che prescindono la relazione di conoscenza. Al contrario di quanto si pensa non sono condotte legate solo a una fascia d'età di giovani, la condotta è diffusa anche tra uomini e donne adulti/e.
Perché è sbagliato parlare di revenge porn?
La denominazione "revenge porn", sorta nel mondo anglosassone e immediatamente adottata dal linguaggio della comunicazione, è molto suggestiva, ma andrebbe evitata. È infatti stata criticata da molte vittime e dalle loro associazioni perché presenta almeno due grossi limiti: anzitutto il richiamo alla pornografia, con connotazione evidentemente negativa, includendo anche la persona ritratta nell'immagine in una definizione di qualcosa di riprovevole e osceno. In realtà, l'uso e la produzione di immagini sessualmente esplicite sono un elemento ricorrente e del tutto "normale" nelle dinamiche relazionali e sessuali. Lo scambio di immagini sessualmente esplicite fa parte della sperimentazione, della curiosità, anche della relazione, ovviamente laddove sia una scelta consapevole e all'interno di una relazione di fiducia. Non ha nulla a che vedere con la pornografia.
Quanto a "revenge" l'idea di vendetta richiama un meccanismo di riparazione di un torto subito, in tal modo significando che vi sia una qualche "colpa" della vittima.
Non sono considerazioni di poco conto: la vittima della diffusione di immagini sessualmente esplicite non è né una porno star, né portatrice di qualche "colpa". La diffusione delle immagini è solo una minaccia, un'azione di intimidazione e violenza nei confronti di una persona (nella maggior parte dei casi donna) che è semplicemente colpevole di voler interrompere una relazione. È uno dei tanti modi in cui si vuole esercitare un controllo sulla vita e sul corpo di una donna. È importante evitare quindi una vittimizzazione secondaria che parte già dalla denominazione della condotta.
Qual è il legame fra la violenza sulle donne nella vita reale e la violenza che passa attraverso l'uso e la diffusione non consensuale di immagini esplicite?
Come già riferito sopra, la diffusione non consensuale di immagini sessualmente esplicite è una delle forme in cui si esplicita la violenza maschile contro le donne, con l'aggravante della maggiore diffusione e dell'anonimato delle persone che condividono le immagini. La peculiarità è forse l'altissimo rischio di colpevolizzazione della vittima. Per motivi che ben sappiamo la sessualità femminile è ancora tabù e le donne che sono vittime di diffusione di immagini sessualmente esplicite sono inondate dal cosiddetto victim blaming, la loro colpevolizzazione. Colpa loro che si sono fatte fotografare, colpa della loro sessualità ecc.: tutti modi di spostare l'attenzione sulla vittima anziché sull'autore delle condotte.
In che modo, come NoiNo.org che è un progetto educativo che si rivolge al mondo della scuola e alla comunità educante, possiamo fare qualcosa e allearci con chi già è impegnato sul contrastare queste forme di violenza sulle donne online?
La formazione è importantissima e cruciale in genere per il contrasto e la prevenzione della violenza maschile contro le donne e il mondo della scuola è la dimensione ideale per smantellare gli stereotipi e i pregiudizi che sono il terreno fertile in cui la violenza si genera e prospera.
Con particolare riferimento alla violenza maschile contro le donne commessa tramite strumenti informatici, due sono gli aspetti che mi sento di sottolineare. È importante che si lavori sulle origini di queste forme di violenza più che demonizzare il mezzo con cui si applica. Il problema non è internet, non è il social media, il problema è la violenza che si agisce attraverso di esso. L'educazione alle relazioni di genere e magari alla sessualità consapevole e rispettosa dovrebbe essere la base alla quale aggiungere l'educazione all'uso responsabile e consapevole della tecnologia.
Troppo spesso la formazione in materia di uso dei social media e internet in generale è delegata completamente alla polizia postale o alle forze dell'ordine che ovviamente ben conoscono i rischi collegati alla rete, ma che a mio avviso non prestano sufficiente attenzione - per ovvie ragioni di provenienza culturale e formativa - al tema della violenza maschile contro le donne e le sue origini. Non va demonizzato il mezzo, va stigmatizzato il comportamento. Serve educazione all'uso responsabile dei media, ma anche e soprattutto educazione alle relazioni affettive e sessuali responsabili e rispettose.
In questo l'alleanza con i Centri Antiviolenza che si occupano di violenza maschile contro le donne da anni, è fondamentale, per trovare sinergie e moltiplicare i saperi, le competenze e le risorse.