Non solo Mad men. Quando la pubblicità sessista offende anche gli uomini.

di redazione di NoiNo.org

Non solo Mad men. Quando la pubblicità sessista offende anche gli uomini.

Vi immaginate i pubblicitari come spregiudicati seduttori di folle di consumatrici e bionde segretarie? Probabilmente avete visto troppe puntate di Mad Men, la serie tv ambientata tra le agenzie dei dorati anni '60. Ma in effetti gli uomini di Madison Avenue e i loro epigoni nostrani hanno gettato le basi di un immaginario televisivo-pubblicitario che dura ancora oggi. Un mondo parallelo in cui uomini e donne sembrano condannati a interpretare più o meno gli stessi ruoli in un eterno remake: lei, la "responsabile degli acquisti", mamma premurosa o sirena seduttiva, lui padre in fuga verso il lavoro o macho d'assalto.

Per gi stessi motivi, la pubblicità è malvista da più parti: gli stereotipi sessisti diffusi e confermati dalla comunicazione commerciale contribuiscono a mantenere il gender gap, la disparità di trattamento, sociale ed economico, riservata alle donne nella società. Storicamente, nella parte dell'accusa si ritrovano i movimenti femministi, le istituzioni, sul banco degli accusati i comunicatori e le aziende che investono in pubblicità. Nell'era del web 2.0, difendere a spada tratta questo sistema, può diventare un vero e proprio boomerang. Basta citare il "caso Barilla", tra i più recenti. La prima linea di difesa è di solito sollevare il "ragionevole dubbio": è la pubblicità sessista che diffonde gli stereotipi nella società, o una società sessista che si riflette nella pubblicità? Viene prima l'uovo o la gallina? Dilemma insolubile, ovviamente.

Ultimamente, molti pubblicitari e molti uomini tra loro, hanno preso una posizione meno neutra. Per consapevolezza personale, dato che gli stereotipi sono offensivi pure per gli uomini? Perché i cliché, per chi fa il creativo, diventano mortalmente noiosi? Perché apparire conservatori è poco trendy? Chissà. Fatto sta che l'Art Directors' Club Italia (ADCI), un'importante associazione di pubblicitari, ha ufficialmente condiviso la risoluzione del Parlamento Europeo su "Impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini". In più, nel maggio del 2013 l'ADCI ha lanciato un concorso diretto ai giovani creativi per realizzare una campagna sul tema, invitando associati e simpatizzanti a sottoscrivere la petizione che chiede al Governo di recepire chiaramente le indicazioni europee. La petizione ha superato le 25.000 condivisioni. Peccato che la Ministra per le Pari Opportunità si sia dimessa dopo un mese...

Ma intanto il tema è stato sollevato, dall'interno della stessa comunità di chi produce i messaggi commerciali più visibili. Il presidente dell'ADCI, Massimo Guastini, ha collaborato con Disambiguando, il blog della studiosa di comunicazione Giovanna Cosenza, producendo delle "prove di commutazione". In pratica si gioca a sostituire con un uomo la figura femminile di una pubblicità, di un video o altro, mantenendo gli stessi atteggiamenti, pose ecc. Un buon metodo empirico per verificare il grado di sessismo di una forma di comunicazione, o perlomeno per dimostrare quanto siamo abituati a una rappresentazione della donna (e dell'uomo) tanto stereotipati.

"Metodo empirico" ovviamente non è la stessa cosa di "scientifico". A volte queste parodie suscitano infinite polemiche (è la rete, bellezza), spesso il risultato è interessante, a volte esilarante, vedi la parodia al maschile del trash-sexy video di Miley Cyrus. Dà da pensare che i casi opposti (parodie con una donna al posto dell'uomo originale) siano difficilissimi da trovare. Perché? E poi: come definire "esattamente" una pubblicità sessista? Che differenza c'è tra volgarità e sessismo? Qualora anche si riesca a definire i confini, si può intervenire in qualche modo senza sconfinare nel moralismo e soprattutto senza andare contro le altre libertà garantite (di espressione, di impresa ecc)? Chi dovrebbe farlo?

Ovviamente, sollevare domande è facile, trovare le risposte difficilissimo. Infatti campagne pubblicitarie evidentemente sessiste continuano a uscire, a essere segnalate al Giurì dell'Istituto per l'Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), in alcuni casi a essere ritirate, di solito a cose fatte.

Però, ribadiamo, molto si muove. E qualcuno prova a individuare delle soluzioni. Ma di questo parleremo prossimamente. Dopo l'intervallo pubblicitario. Ops! Volevamo dire: dopo aver sentito la vostra opinione.



Comunicazione: Studio Talpa | Comunicattive