Lui scritto da lei, in prima persona.

di redazione di NoiNo.org

Sabrina Sasso, blogger, scrittrice e volontaria in un centro antiviolenza, ci ha regalato un suo racconto scritto per un concorso letterario, "L'immagine parla". La sfida era appunto scrivere una storia partendo da un quadro: "L'attesa", di Matteo Pedrali (1938). Lo vedete qui a lato. Sabrina ha immaginato che il foglio che il personaggio stringe nella mano sia una lettera, indirizzata alla donna che l'ha lasciato. Sabrina quindi si è immedesimata in un uomo, colmo di malinconia e anche di rabbia, ma deciso a non cedere ai pensieri più cupi, alla tentazione della violenza. Che ne pensate? A noi sembra un tentativo interessante di mettersi in altri panni, di parlare di un tema da un punto di vista molto diverso da quello da cui lo si fa di solito.

Sabrina infatti scrive molto di relazioni tra uomini e donne, per passione personale e per impegno, ma di solito da un punto di vista femminile. Il suo romanzo "Voglio capire se ne è valsa la pena" ha lo stesso titolo di un suo blog. E proprio con il linguaggio dei blog ha molti punti in comune: racconto in prima persona, argomento (almeno apparentemente) autobiografico, tono sarcastico, a volte grottesco. Scaricate il primo capitolo e vedrete la differenza tra questo il racconto: anche la relazione di cui parla qui è decisamente infelice, ma le reazioni della protagonista sono molto più irrazionali e - forse proprio per questo - più vere e credibili. Il capitolo si conclude con una scena di violenza. Che, però, non è quella che vi aspettate. Che ne pensate?

Sabrina tiene anche una pagina Facebook, da cui come forse avete visto, condivide i suoi post sulla nostra: da qui incita chi la segue ad abbandonare la dipendenza affettiva e a guardare in faccia la realtà delle relazioni violente. A volte però, come la protagonista del suo romanzo, quando scoppia la polemica con qualche commentatore cede al flame e comincia a tirare degli schiaffoni verbali… Cosa che ci pare non serva a nulla, se non ad alzare il livello di livore della rete, già sufficientemente alto. Ma ora, leggete il racconto di Sabrina, e sopratutto dite (e ditele) che ne pensate. Il titolo sembra fatto apposta per questo sito. 

IO NO di Sabrina Sasso.

Mi hai scritto. Non vuoi parlarmi,  mi hai detto tutto in una lettera. Ed io, invece di correre da te e trattenerti, me ne sto qui, placidamente inebetito, a guardare tutto e niente. Volevo scriverti in risposta anch'io, ma non ce la faccio.
Nelle orecchie mi risuonano le tue parole. Certo, sono di carta, ma io le sento, so com'è la tua voce, come scandisci le lettere, la tua cadenza. E, in sottofondo, come in tutta la mia vita, la sciabordio di questo fiume, che scorre come il mio stesso sangue nelle vene. 
Cinzia, ho deciso: io no. Io no. Non ci sto. Sto per perdere la testa ed è per questo che resto qui, attraccato a questa riva mite. Ho bisogno di qualcosa di bonario che mi calmi, che mi faccia pensare a te, a noi, ma con testa e cuore, lasciando da parte questa rabbia sorda che rischia di tracimare, inondandoci. 
Io no, Cinzia. Ti ho dato tutto, certo che lo so, ed ho ricevuto cattiveria, alla fine. Avrei tutti i diritti di arrabbiarmi, di fare fuoco e fiamme, di urlarti in faccia il mio rancore e sputare la mia bile. Eh sì, Cinzia cara, chi potrebbe condannarmi fino a 'sto punto? Tua madre? Tuo padre? Gli amici? 
Ma io lo so che non mi fermerei qui e questo non perché io sia un mostro, come forse a te piacerebbe pensare per poterti staccare da me leggera, come un palloncino che lascia, piano, la mano del bambino e s'invola.
Nessuno è un bruto in partenza. Si può scegliere. Se non sei pazzo, puoi vagliare se lasciarti andare alla collera e all'odio oppure no. E se sei pazzo, beh, dovresti farti rinchiudere, ma i pazzi che ne sanno. Io sono nel pieno delle mie facoltà mentali. Acciaccato, solo, disperato, ma sano di mente. Padrone di me.

Questa deve essere la mia forza, questo è il mio fiume. Lo senti lo sciacquio? Ma cosa vuoi sentire tu… Ti portavo qui e ti chiedevo: "Guarda, amore, li vedi i pesci?" "Senti com'è impetuoso  il fiume oggi?" . Tu non vedevi e non sentivi mai niente, né i pesci, né il suono della corrente. Non sentivi i cambiamenti del fiume. Ci sdraiavamo sull'erba, lungo l'argine e tu stavi ben attenta a stendere la mia giacca panna sotto di te. Tanto poi la lavavi tu, dicevi. Ed io ero felice di offrirti questo spettacolo, lo spettacolo della mia terra, a buon mercato – mi costava solo un paio di birre – ma irripetibile, ogni volta.
Non capivi i cambiamenti di questo posto, dicevo, e si vede che io non ho capito i tuoi. Non so, mi sembrava, mi sembra, tutto uguale, tutto normale. Tanto amore, tanti progetti, Filippo in cima a tutto. Le domeniche dai miei, le ferie al mare dai tuoi.
E invece mi hai scritto. Ho letto che sei stufa, che me l'hai ripetuto cento volte come stavi. No, Cinzia, ricordi male. Certo, abbiamo litigato spesso negli ultimi mesi, ma io pensavo solo fossi annoiata perché non hai un lavoro, perché Filippo ormai è grandino e ti lascia tanto tempo libero.
Io non lo sapevo come occupavi questo benedetto tempo libero ultimamente. 
No, non posso pensarci. Mi fermo. Riavvolgo il nastro. Tu… mi viene da dire che sei mia, ma nessuno è di nessuno. Ecco che con la tua licenza personale hai preso un'altra via, lontano da me. Vai nella tua terra, a nuotare nel tuo adorato mare, passionale e vivido come questo fiume non sarà mai. Ma, sai, anche il fiume ha un suo temperamento e tu non hai voluto provare a conoscerlo. A conoscere me.    

Dicevi che il fiume è insulso. Ma no, sciocca. Vedi questi colori? Sono più tenui rispetto al mare , ma mai meno mutevoli, iridescenti, cangianti.
Posso ancora fare qualcosa per noi? No, non penso. No, ne sono sicuro. Posso venire lì e dirti ladra e bugiarda e… lo sai cosa. Sei una mamma, una mamma e una moglie. Mi hai tradito, per mesi, ed ora dici che dovrei capire il perché. 
Te lo chiedo, invece. Pensi forse di essere stata perfetta tu per me con le tue eterne paturnie, con il tuo malumore, con le tue critiche? Tornavo a casa e volevo trovare la ragazza che sette anni fa, piena di slancio, è venuta qui con gioia per me, perché io avevo il lavoro più sicuro. Volevo trovare amore, calore, casa, la mia donna. Ed invece, da molto ormai, trovavo un nemico pronto ad aggredirmi, spesso sulla soglia.
Mi ritenevi il colpevole della tua infelicità, del tuo trasferimento, sapendo bene che io ti avevo lasciato scegliere in libertà. Ce l'avevi con te e te la prendevi con me. Eri acida anche con Filippo. Anzi, del bambino dobbiamo parlare. È mio figlio e non è giusto che lo porti così lontano da me. Lui non c'entra con le nostre questioni di coppia, cerca di ricordartelo più avanti.
Cosa ti ho fatto, Cinzia? Non ti ho dato ascolto? Meritavo questo? Ma perché non mi hai scritto prima? Dio, adesso verrei lì e ti direi quella brutta parola che si dice alle donne quando tradiscono i mariti e poi, poi ti metterei le mani al collo e ti farei fare avanti e indietro con la testa, come nei cartoni animati che guarda nostro figlio. Tu urleresti e mi diresti che faccio schifo, che ti ho messo le mani addosso ed io perderei la testa e ti griderei che se c'è qualcuno che fa schifo quella sei proprio tu.

Tu sfuggiresti alle mie mani ed io ti rincorrerei, imbufalito, ormai fuori dal mio corpo e dal mio senno. Ti agguanterei e atterrerei. Ti verrei sopra e forse ti stuprerei, così, per affermare il mio potere e il mio possesso su di te. 
Tu piangeresti ed io non lo sopporterei e, per non vederti più, ti cancellerei dalla vita.
Poi mi volterei e vedrei Filippo lì, sulla porta, che mi fissa inorridito e scioccato. Filippo che mette le manine davanti a sé e mormora "Non ti avvicinare, non sei il mio papà".
Ed io morirei con te. E lui con noi. Un altro futuro uomo rovinato da chi l'ha generato.
Ecco perché dico di no, tanto, a questo punto,  un gesto verso di te non porterebbe a nulla, non dopo una lettera del genere. Hai confessato, hai scritto di lui. Ed io vi vedo. Niente ti riporterebbe indietro, né la vita né la morte. E allora, mondo che attendi la mia reazione da uomo, cosa cambierebbe tra me e lei se la picchiassi, insultassi, stuprassi, uccidessi? Sarei vedovo, ecco cosa. Vedovo, forse galeotto e sicuramente disprezzato da mio figlio. Oppure sarei un persecutore e darei il tormento a lei, a me, al bambino che assorbirebbe tutto.
E lei si sfogherebbe comunque tra le braccia di… come si chiama?, ah sì, Vittorio. E parlerebbe di me con astio, con rancore, con le sue ragioni. Ho fatto proprio bene, direbbe.
Non so se hai fatto bene, Cinzia. Io ti ho amato, ma tu adesso sei distante, sei al mare.
Ed io, invece, ho voglia di restare qui. Sulla sponda di questo fiume.



Comunicazione: Studio Talpa | Comunicattive