di Giuseppe Burgio
A San Valentino parlare di amore sembra quasi scontato, ma nella vita di una coppia eterosessuale quanti condizionamenti culturali gli uomini subiscono e portano dentro il rapporto a due? Ne parla con noi Giuseppe Burgio, professore in Pedagogia Generale e Sociale presso l'Università di Palermo e Graduated SYLFF Fellow all'Università della Nippon Foundation di Tokyo.
Il 14 febbraio è San Valentino, festa degli innamorati. Non si sa bene perché sia stato scelto proprio questo vescovo martire come simbolo dell'amore, ma così è ormai. Come una ormai martellante pubblicità ci ricorda, è l'occasione in cui si regalano rose e cioccolatini, è la festa dell'amore tra un uomo e una donna.
È un po' il contraltare della "festa" delle donne che l'8 marzo manifestano o, più semplicemente, vanno a mangiare una pizza solo tra amiche, senza mariti. Se l'8 marzo ricorda l'autonomia e i diritti delle donne, San Valentino celebra l'unione amorosa, il legame tra un uomo e una donna.
Purtroppo, è un legame che è fatto talvolta anche di dominio e violenza, dipendenza e rabbia, ricatti e insulti. San Valentino mi porta allora a chiedermi se la violenza sulle donne, nascendo dentro una relazione eterosessuale, non sia strutturalmente legata all'amore tra un uomo e una donna, se ogni bacioperugina che regaliamo non sia anche un simbolo potenzialmente minaccioso.
Non voglio insinuare dubbi sui sentimenti che ciascuno di noi prova per la propria donna, sul piacere di fare qualcosa per lei, di celebrare un'unione che tra gli alti e bassi di ogni coppia è per entrambi importante, significativa, colma di affetto.
Piuttosto ricordo (a me stesso innanzitutto) come l'eterosessualità, l'amore tra un uomo e una donna, sia molto più di un legame amoroso privato, ma è regolato da norme sociali e culturali di ogni tipo: su chi debba pagare il conto al ristorante o il ricevimento nuziale, su chi debba "portare" ballando il tango, su chi debba guidare l'auto e chi debba portare fuori l'immondizia, su chi debba cambiare il pannolino ai bambini, su chi possa prendere l'iniziativa di un approccio sessuale, su chi possa regalare fiori a chi... e l'elenco potrebbe continuare a lungo. Dato che l'amore tra uomini e donne è affare importante per la riproduzione della specie, cioè, la società lo regola attentamente e minuziosamente, e nel mio amore per la mia donna c'è anche molta società e molta cultura.
Mi chiedo allora se in quella vasta "cosa" che è l'eterosessualità non sia contenuta anche la violenza, come effetto di una tradizione culturale che si è costruita nei secoli e che ha oggi una ricaduta su ciascuno di noi. Se cioè non siamo inconsapevolmente spinti ad associare la violenza sulle donne a differenza di quella che esercitiamo tra noi uomini, che avviene sempre in luoghi pubblici agli spazi privati, domestici, a quei luoghi dell'intimità in cui ambientiamo la nostra storia d'amore.
Ancora più in profondità, scendendo nei luoghi oscuri della nostra interiorità, può darsi che nel legame erotico (amoroso e sessuale) che ci unisce a una donna ci sia anche una zona grigia in cui tra violenza e piacere, dominio e affetto, si crei un legame ambiguo?
Insomma, voglio pormi il dubbio se nel mio essere un uomo innamorato di una donna, cioè nella mia maschilità eterosessuale, si sia accumulata nei secoli una tradizione che afferma che essere "un vero uomo" significhi esercitare il potere maschile. Se cioè (in modo inconsapevole) io associo il desiderio che ho verso la mia donna col volermi mostrare uomo ai suoi occhi, comportandomi da maschio, cosa che nella nostra società è spesso associato all'esercitare violenza, a mostrare virilmente i muscoli.
Allora, riconoscere alcuni limiti della tradizione culturale maschile in cui sono nato, ragionare sui modelli di amore eterosessuale che ho appreso, avere il coraggio di guardarmi dentro per liberarmi dai condizionamenti culturali è forse il più bel regalo di San Valentino che posso fare alla mia donna e, soprattutto, a me stesso.
Foto di Giulia Dosso da Flickr - Licenza CC Creative Commons