di Ordine degli Psicologi del Lazio
Il gruppo di lavoro "Violenza nelle relazioni intime" dell'Ordine degli Psicologi del Lazio ci manda questo contributo sui "maltrattanti" e diversi tipi di profilo psicologico in cui possono rientrare. Lo pubblichiamo integralmente, con una premessa. Il titolo è una domanda retorica per le autrici ma - attenzione - anche per NoiNo.org: la risposta ovviamente è "no". Non abbiamo mai detto che "ogni uomo in quanto tale è un potenziale violento". Ciò non vuol dire però che il lavoro dei centri per maltrattanti o delle iniziative di prevenzione culturale sia inutile. Sul primo punto preferiamo dare la parola a chi lavora sul campo, come
Daniele Guoli. Per quanto riguarda la sensibilizzazione ci sentiamo di dire una cosa: certo, non basta essere nati e cresciuti con certi modelli di ruoli di genere maschile e femminile per diventare stalker di ex fidanzate o picchiatori di mogli. Ma ricordiamoci che pochi anni fa le botte e gli stupri "tra moglie e marito" non erano neanche reato. Che ancora oggi alcuni uomini tendono a minimizzare questi comportamenti. Che molti di più faticano a riconoscere l'isolamento o il controllo ossessivo della partner come forme di violenza psicologica. Anche quando non le mettono in atto, perché fanno parte di un'idea condivisa di virilità, di amore ecc. Quindi ci sembra ancora importante che siano i maschi a uscire allo scoperto per dire "no" a tutto questo. E per mettere in discussione cose che troppo spesso diamo per scontate, a cui non facciamo neanche più caso. La violenza di genere è un tema complesso: vale la pena esplorarne i confini da più punti di partenza. Voi che ne pensate? Dopo il contributo dell'Ordine degli Psicologi, ci piacerebbe leggere i vostri!
IN OGNI UOMO SI NASCONDE UN MALTRATTANTE?
Di Maria Elisabetta Ricci e Simona Galasso
La psicologia, che ha il pregio di non poter prescindere dagli individui, dalle loro relazioni, dalla loro mente, non può che rispondere: no, non in ogni uomo si annida un maltrattante. Non "tutti" gli esseri umani di genere maschile picchierebbero, umilierebbero o peggio ancora ucciderebbero le loro compagne. C'è un termine infatti che nelle sue diverse declinazioni proprio non appartiene alle teoria e alle prassi psicologiche ed è "tutti". È impossibile per gli psicologi esplorare un fenomeno umano senza considerare le variabili relazionali, storiche, culturali e simboliche, e la violenza all'interno delle relazioni intime non fa eccezione.
In un'ottica psicologica, la differenza di genere è una variabile fondamentale che fornisce i contenuti e le modalità con cui la violenza può essere espressa e concepita da un uomo violento, ma non è la variabile da cui inequivocabilmente origina la violenza. Ed è questo il motivo per cui possiamo affermare che un essere umano non è violento perché è maschio.
Gli uomini, maschi, non sono "tutti" uguali, come non lo sono le donne e i bambini. Non lo sono in ogni loro espressione e comportamento. Non "tutti" amano allo stesso modo, mangiano allo stesso modo, camminano allo stesso modo, pensano allo stesso modo. Anche qui, ahimè, la violenza non fa eccezione, non "tutti" sono violenti allo stesso modo e non "tutti" sono mossi dalle stesse dinamiche interne.
Può succedere allora che gli autori di violenza siano uomini che non hanno mai avuto comportamenti maltrattanti e/o violenti nei confronti della partner, ma ad un certo punto li mettono in atto per delle circostanze che si verificano. Oppure, può trattarsi di uomini che aggrediscono all'interno di una situazione di conflittualità di coppia molto alta.
Diverso ancora è il caso in cui alcuni uomini agiscono un comportamento maltrattante, che prevede una condotta di sopraffazione sistematica, programmata e unilaterale. Spesso queste persone non possono fare a meno di essere violente nella relazione intima, la quale quindi è violenta sempre, con ogni partner passato e presente, indipendentemente dal mutare delle circostanze.
In quest'ultimo caso il fenomeno si complica, o meglio si aggrava. Siamo in presenza di un modo di funzionare rigido che spesso si definisce in un assetto psicologico patologico chiamato comunemente disturbo di personalità (1). Da un punto di vista psicologico, un disturbo di personalità può essere pensato come un modo esacerbato, limitante e radicalizzato di sperimentare vissuti su sé stessi, gli altri, e sé stessi in relazione agli altri.
È bene sottolineare che i disturbi di personalità non sono i cosiddetti "disturbi psichiatrici", non vanno confusi con la cosiddetta "malattia mentale" o "psicosi". Infatti le persone con disturbi di personalità sono sufficientemente adattate al contesto sociale di cui conoscono le regole. La loro aggressività non è prevedibile per un osservatore esterno e non esperto. È per questo che dopo molti delitti efferati si sente ripetere dai vicini di casa: "era una persona normalissima".
Siamo di fronte quindi a uomini dal funzionamento psicologico rigido e ripetitivo, in cui la violenza nei confronti degli altri è pervasiva, indipendente dalle circostanze e dal contesto relazionale. La violenza si configura allora come un tratto distintivo della personalità o più precisamente del disturbo di personalità e la necessità di aggredire è in alcuni casi un'esigenza: parliamo in particolare dei cosiddetti disturbi narcisistico, psicopatico/antisociale, borderline (1, 5, 10). Si tratta dei disturbi individuati dagli studi che hanno indagato quali caratteristiche psicologiche potessero contraddistinguere i maltrattanti (3, 4, 6, 7, 9, 11, 12, 13, 14).
Ma le categorizzazioni nosografiche hanno il grande limite della rigidità: un disturbo di personalità, infatti, non è una dimensione "tutto o niente", ma una modalità psicologica di rapportarsi al mondo; perciò la capacità di ciascun individuo con un disturbo di personalità di ragionare su di sé, mettersi in discussione, esplorare la realtà, sentirsi in colpa, trattenere l'impulso aggressivo, cambia a seconda delle singole persone.
Vale la pena adesso spendere qualche parola in più per capire la profonda differenza da un punto di vista qualitativo tra i due principali funzionamenti psicologici di chi agisce violenza nelle relazioni intime.
Alcune situazioni psicopatologiche, come la psicopatia, prevedono di per sé strutture mentali molto rigide, fortissimi predittori di aggressione generalizzata verso tutti, non solo verso la partner (2, 8). In altri casi la violenza è diretta esclusivamente nei confronti della partner, tanto che da alcuni autori, questi soggetti, sono stati definiti "violenti family only" (9).
Mentre negli psicopatici si osserva un'assenza pressoché totale di relazioni disinteressate e di preoccupazione per la sorte degli altri, in altri soggetti è la relazione intima di per sé e la condizione di grande dipendenza che la contraddistingue - a suscitare una particolare ed intensissima angoscia segnata dall'ambivalenza: per cui si osservano nella stessa persona tutta una gamma di emozioni, nei confronti della partner, che vanno dal bisogno assoluto all'orrore per l'abbandono, al senso di persecuzione, al sadismo, alla distruzione totale, all'orrore per la perdita, alla richiesta di perdono e via discorrendo, esperienze vissute in modo esasperato e soprattutto scollegate tra loro, così che la persona non è in grado di dare loro un senso univoco, integrato e complessivo, con difficoltà di apprendere dall'esperienza.
Anche da un punto di vista strettamente comportamentale si rilevano delle differenze nel modo di agire la violenza. Chi presenta un disturbo di personalità di tipo psicopatico mette in atto soprattutto un tipo di violenza definita "a freddo": l'odio si esprime in modo predatorio, strumentale, sadico, ragionato, non necessariamente fisico, spesso fondato su atteggiamenti rifiutanti, svalutanti, disprezzanti, perversi e manipolatori. Può esserci la perdita di controllo con manifestazioni esplosive e distruttive di rabbia. La violenza è rivolta verso tutti e non è ristretta alla relazione di coppia.
La qualità della violenza dei borderline è invece definita "a caldo", impulsiva. L'ambivalenza nei confronti della partner è vistosa, l'amore sconsiderato cede il passo alla gelosia furiosa e alla distruzione cieca. Nelle personalità borderline è presente un tipico modo ciclico di funzionare all'interno della relazione di coppia, che Donald Dutton ricollega alla spirale della violenza individuata negli anni '70 da Leonore Walker nella fenomenologia del maltrattamento (4, 15, 16). In un gran numero di casi la relazione appariva infatti come un processo in cui si susseguivano sistematicamente delle fasi ben delineate: crescita della tensione,esplosione acuta della violenza, contrizione, tutte espressioni di modalità esacerbate, estreme e scisse di stare in relazione con la partner.
La descrizione sintetica e necessariamente poco esaustiva del modo di funzionare di alcuni uomini maltrattanti rischia tra l'altro di sottolineare esclusivamente gli aspetti disfunzionali, respingenti e socialmente inaccettabili. In realtà molti di questi uomini non sono "solo" violenti ma sono stati in grado di entrare in una relazione di coppia e di farsi volere bene, altrimenti non si comprenderebbe perché le donne vittime si legano affettivamente e fanno fatica a separarsi. È proprio e solo sulla base dei sentimenti positivi che essi provano, che danno valore al legame, che si può pensare di recuperarli con un intervento psicologico.
Intervenire sugli autori di violenza senza considerare la variabile psicologica del fenomeno, la soggettività dell'autore di violenza e il suo funzionamento sarebbe come operare una persona senza conoscerne l'anatomia e la fisiologia. Il rischio che si corre non si allontana di molto da quello di un intervento chirurgico alla cieca.
La conoscenza del funzionamento degli autori di violenza all'interno delle relazioni intime rappresenta il primo indispensabile passo per costruire modelli di intervento adeguati ed efficaci. Le ricerche e gli studi finora citati sugli autori di violenza sono soprattutto nord americani. Negli Stati Uniti l'interesse per la conoscenza e l'intervento sugli autori di violenza all'interno delle relazioni intime risale agli anni '70.
Benché la necessità di avviare programmi di intervento stia diventando, grazie alla convenzione del Consiglio d'Europa (17) ratificata dall'Italia, sempre più pressante, in Italia non ci sono ricerche su questa popolazione di soggetti. È per questo motivo che il gruppo di lavoro sulla violenza nelle relazioni intime ha promosso e realizzato un accordo di collaborazione tra Ordine degli Psicologi del Lazio e l'Istituto Superiore degli studi Penitenziari (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria- Ministero della Giustizia) che ha, tra gli altri,l'obiettivo di avviare una ricerca sulla conoscenza del funzionamento psicologico degli autori di violenza.
Riferimenti Bibliografici
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- Council of Europe Convention on Preventing and Combating Violence against Women and Domestic Violence, Istanbul (Turkey) 11.V.2011, Council of Europe Publishing, F-67075 Strasbourg Cedex; http://book.coe.int