Quando gli uomini parlano di femminicidio: tra retorica dell'emergenza e tentazione di minimizzare.

di redazione di NoiNo.org

Negli ultimi tempi gli assassinii di donne hanno guadagnato sempre più spazio sui media e nell'agenda della politica. A questa (tardiva) attenzione si accompagnano naturalmente dibattiti e polemiche, in cui cominciano a emergere anche le voci e i punti di vista degli uomini. Non moltissimi, a dir la verità: in ogni caso, in questo piccolo coro di voci maschili come prevedibile fanno più notizia le voci che "stonano", negando e minimizzando la portata del fenomeno. Ultimamente la polemica si è spesso concentrata su numeri, dati e statistiche e sulla loro interpretazione. Al tema è stata dedicata di recente una puntata di Tutta la città ne parla su Rai Radio 3, in cui si sono confrontati tra gli altri Davide Maria De Luca, giornalista al Post specializzato in "fact checking" (il controllo delle fonti delle notizie), e Linda Laura Sabbadini, direttore generale dell'Istat, che ha curato nell'ormai lontano 2006 l'ultima ricerca statistica sulle violenze contro le donne.

Questo dibattito ha visto la risposta tra gli altri di Adriano Sofri su Repubblica, che già aveva parlato dei "Negazionisti di buona volontà". Citiamo una frase: "Deplorano: si grida all'emergenza per mettersi in mostra. Argomento scivoloso, basta rovesciarlo: mi si noterà di più se sconfesso l'emergenza?"

A noi sembra che questo dibattito rischi di avvitarsi (anzi si è già avvitato) in un'infinita serie di puntualizzazioni e di sofismi, fino a perdere di vista la sostanza di ciò di cui si parla. Ed è preoccupante notare che gli uomini si muovono soprattutto per meccanismo di autodifesa. Specialmente se si considera che nessuno ma soprattutto nessuna, studiosa o attivista seria, sta gridando all'emergenza. Per questo ci è piaciuto molto l'intervento competente e appassionato di Maurizio, statistico di professione che ha aiutato Loredana Lipperini a scrivere il suo post sul tema.

Vogliamo sottolineare un passaggio in particolare:

"Interrogatevi piuttosto su cosa vi spinge a tanto accanimento nel contestare tesi sì contestabili, ma senza necessità di acrimonia [...] Non dovete pensare che parlare di femminicidio sia un’accusa implicita a tutti gli uomini di essere potenziali assassini, né un modo per spostare verso le donne porzioni di potere da utilizzare magari in tribunale per l’affidamento dei figli o l’assegno di mantenimento. Qui si parla di un problema che esiste, e delle sue possibili soluzioni. Punto."

Ed ecco l'intervento di Maurizio, quasi per esteso. Lo riportiamo anche per ché riassume efficacemente i termini della questione.

"È una polemica che andava affrontata, dato che i numeri sono l'argomento preferito di chi si ostina non solo a negare il fenomeno, ma spesso a darne una rappresentazione da derby calcistico: uomini contro donne; una polemica che andava affrontata, ma non certo il cuore del problema [...].

1. Il femminicidio esiste per definizione, dal momento che così designiamo l'omicidio di una donna che avviene in certe particolari circostanze. [...].

2. Accertata l'esistenza del fenomeno, chi lo nega dovrebbe in realtà, più opportunamente, dimostrarne l'irrilevanza; e questo cercano di fare quanti si cimentano con i numeri. [...]

3. I negazionisti [...] usano i numeri per sostenere diverse cose, tra cui le più rilevanti sono a mio avviso le seguenti:

a. I dati sono inaffidabili e non consentono conclusioni certe;

b. Il dato degli omicidi di donne in Italia è tra i più bassi al mondo ed è stabile (in termini assoluti) da decenni, per cui non abbiamo un problema;

c. Non tutti gli omicidi di donne possono essere etichettati come femminicidi.

d. L'aumento nel tempo dell'incidenza percentuale del fenomeno è un'illusione ottica dovuta alla diminuzione degli omicidi di uomini, per cui vale quanto detto al punto b.: ovvero, non abbiamo un problema.

e. È stato fatto dell'allarmismo isterico e ingiustificato per montare un caso, al solo scopo di ottenere visibilità. I numeri (ancora loro!) non giustificano che si parli di emergenza, né di fenomeno in crescita.

Il post di Loredana, a cui ho contribuito, si proponeva di smentire queste argomentazioni negazioniste; credo che siamo riusciti a mettere in campo argomenti validi, che riassumo:

a. I dati sono pochi e spesso inaffidabili, è vero; ci sono studi ISTAT e del Ministero dell’Interno, ma hanno carattere occasionale e sono utilizzabili solo parzialmente a fini di confronti che diano conto dell'evoluzione del fenomeno e della sua differenziazione territoriale. Ci sono poi dati meritoriamente raccolti da associazioni da fonti di stampa, e questi purtroppo di scientifico non hanno nulla. C'è quindi un problema di conoscenza del fenomeno, che rende opportuno chiedere agli organismi dotati delle necessarie competenze l'attivazione di una raccolta dati sistematica e standardizzata, utile per uno studio approfondito dei fatti e per la loro interpretazione. Con le scarse informazioni oggi a disposizione è comunque possibile formulare alcune ipotesi di lavoro, che potranno essere sottoposte a verifica se e quando i dati saranno disponibili. Una di queste ipotesi, sostenuta da Loredana Lipperini e da Michela Murgia nel loro libro, vede tra le cause del problema il persistere di modelli di genere arcaici e patriarcali. Io personalmente la ritengo plausibile [...] Ovviamente se ne potranno testare anche altre, di ipotesi, alternative o complementari. La raccomandazione, in questo caso, è di non crocifiggersi alla statistica: i dati potrebbero anche non arrivare mai, ma non è che contro la mafia, per dire, si possa smettere di lottare perché non ci sono abbastanza dati per indagarne le radici culturali. Lo stesso dovrebbe valere per il femminicidio e, più in generale, per la violenza ai danni delle donne.

b. La stabilità del numero dei femminicidi può e deve, a mio avviso, essere letta come una priorità; [...] Attenzione, non perché si tratti di un'emergenza, perché tale non è: si ha emergenza se un fatto imprevisto si manifesta in modo eclatante, ma qui siamo di fronte a una specie di rumore di fondo che ci accompagna da tanto di quel tempo da far pensare a molti che sia inevitabile, qualcosa con cui convivere, come la pioggia. È l’argomento dei sostenitori della "soglia minima", che non solo non è dimostrata ma, chissà perché, non viene mai tirata in ballo quando si parla di morti sul lavoro, o altri tragici fenomeni. [...]
Trattandosi di vite umane e di rapporto tra generi, [...] è opportuno fare quanto è in nostro potere per cercare di abbassare il più possibile quel numero, nello sforzo forse impossibile, ma certo dovuto, di farlo assomigliare il più possibile a zero.

c. Non tutti gli omicidi di donne sono femminicidi: è vero, ci mancherebbe altro; anche qui, abbiamo un problema di dati: quando i casi saranno classificati in modo continuativo e corretto, inquadrando il movente e la relazione tra vittima [...] e assassino, sapremo finalmente quanti sono davvero, i femminicidi.

[...]
E quindi lo ripeto: se in passato altri fenomeni, numericamente più rilevanti, chiedevano un impiego di risorse volto al loro contenimento, ora che di quei fenomeni è stata ridotta l’incidenza le priorità possono essere riviste e si possono dedicare maggiori risorse a tante altre cose, tra cui il femminicidio. [...]
e. [...] chi denuncia isteria e sensazionalismo non ha tutti i torti. Però queste persone non fanno mai i nomi dei loro obiettivi polemici e questo è scorretto, perché si accredita l'idea che l'intera discussione sia niente più che una montatura. Io però non ho trovato questi intenti e questi toni né nell’operato di Loredana, né in quello di Michela. [...] Mi riferisco a bufale come quella che fu diffusa dalla 27a ora (il femminicidio come prima causa di morte tra le donne di una certa fascia di età)[...]; o al ripetuto accostamento dell’Italia ad alcune realtà internazionali deteriori. Pochi mesi fa diedi fuoco proprio io a una polemica accesissima innescata su FB dal titolo di un giornale della Svizzera francese, che suonava più o meno "in Italia si uccide una donna ogni due giorni": una certa immagine stereotipata degli Italiani, rafforzata proprio da un certo sensazionalismo di stampa sul tema del femminicidio, aveva indotto giornalista e lettori a dare per scontato che qui da noi la situazione fosse quasi messicana; e li aveva del tutto dissuasi dal guardare in casa propria, dove i tassi sono molto simili se non (forse) più alti che da noi. [...] Oggi gli errori di ieri, consapevoli o meno, fanno danni enormi, contribuendo all’immagine predatrice e prevaricatrice della donna femminista. Un uomo che mi ha insegnato molto era solito dire che "i numeri si vendicano", quando gli portavamo qualche conclusione che faticava a stare in piedi. [...] Questo della comunicazione dei dati è secondo me un punto fondamentale: bisogna stare alla larga e se si può anche correggere pubblicamente chi spara numeri come si fosse al lotto, perché fa danni difficilissimi da riparare. Al contempo, inviterei le persone [...] che negano il femminicidio a farla, questa distinzione tra sensazionalisti e persone sobrie. E vedrete che in questo blog, così come nel libro, non si affronta il problema nell'ottica dell’emergenza, non si criminalizzano gli uomini in quanto genere maschile, non si invocano leggi speciali, non si danno numeri a vanvera. Civilmente, è quindi possibile un dialogo nel rispetto reciproco.

Nel chiudere questo commento, che alla fine ha quasi assunto la lunghezza di un altro post, vorrei far osservare una cosa a chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui: quanto ho appena riepilogato, così come il contributo originale dato a Loredana e Michela, di statistico ha ben poco. Basta il buon senso, per formulare osservazioni di questo genere. [...] Se volete confrontarvi non state a scomodare luminari del calcolo delle probabilità, evitate la fuoriuscita di profluvi di formule [...]. Interrogatevi piuttosto su cosa vi spinge a tanto accanimento nel contestare tesi sì contestabili, ma senza necessità di acrimonia: perché non intervenite con altrettanta assertività quando il presidente Napolitano denuncia le morti sul lavoro, o quando si parla di malasanità? Eppure potreste. Non dovete pensare che parlare di femminicidio sia un'accusa implicita a tutti gli uomini di essere potenziali assassini, né un modo per spostare verso le donne porzioni di potere da utilizzare magari in tribunale per l’affidamento dei figli o l’assegno di mantenimento. Qui si parla di un problema che esiste, e delle sue possibili soluzioni. Punto. E mi auguro vivamente che da oggi in poi la conta dei numeri serva solo a dare la giusta dimensione al fenomeno, anziché essere brandita come un'arma. Sarei contento di vedere la discussione tornare sul punto, e rimanere – io come statistico - senza niente da dire."



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