I cartoni sono cambiati, papà. E meno male.

di Lorenzo Gasparrini

I cartoni sono cambiati, papà. E meno male.

I cartoni animati della mia infanzia avevano uno schema narrativo molto semplice: i belli e buoni difendevano la terra contro brutti mostri cattivi che finivano inevitabilmente sconfitti. I ruoli erano chiarissimi: buoni di qua sulla Terra, cattivi di là, sottoterra o dallo spazio; i maschi tutti giovani eroi, le femmine al massimo solerti ma fiacche aiutanti. Miwa in minigonna lanciava i componenti di Jeeg e fine lì; Jun Hono era sì bellissima, ma alla fine la sua Venus Alpha sparava missili-tetta sostanzialmente innocui, e tutto il lavoro lo faceva Mazinga.

Le cose, crescendo, mi si complicarono un po' con l'arrivo nei cartoni di donne decisamente di maggiore spessore. Già la più ingenua Stella della Senna e la straordinaria Lady Oscar (degnamente anticipate da Zaffiro) erano fior di donne combattenti che oscuravano i loro compagni e sodali maschi; in più c'erano donne molto ambigue e seducenti come Fujiko di Lupin III o la Principessa Lunedì (in Calendar Men) – che non accettavano certo il ruolo di comprimarie, e scompaginavano le trame e le sicurezze dei partner maschi. Anche loro, in questo, erano state degnamente anticipate dalla piccola Pollon, con la sua polverina magica che "serve a darti l'allegria". 

Erano però, visti col senno di poi, prodotti manga che l'adattamento italiano aveva molto semplificato nella trasposizione, se non addirittura tagliato in alcuni episodi per accomodarli alle esigenze – e alla moralità - del pubblico televisivo nostrano. Oggi li ritrovo su canali televisivi dedicati che ne restituiscono il giusto valore artistico e narrativo.

Dopo una generazione l'offerta di cartoni per i miei figli è letteralmente esplosa, e la scelta, da genitore, è molto complicata. Accanto a prodotti che esplicitamente cavalcano stereotipi di genere (spesso tristemente legati a merchandise come giocattoli esplicitamente "per bambini" o "per bambine") che non voglio neanche menzionare, ci sono però bellissime sorprese che seguo insieme a loro con gran gusto.

Adventure Time è un cartone apparentemente sconclusionato e bizzarro, ma che con un linguaggio diretto e mai banale affronta grossi temi come amore, morte, regole ed educazione, amicizia, tolleranza, differenze d'ogni tipo, la guerra, la giustizia e i diritti. Sia mio figlio Ivan (oggi dieci anni) che il più piccolo Andrea (sette) ne sono incantati dalla prima serie apparsa nel 2011, e noi adulti di casa anche. Qui la connotazione di genere è del tutto secondaria, se non addirittura smentita in alcuni episodi nei quali i protagonisti lasciano la scena a loro "alter ego" di genere opposto: il ragazzo Finn "diventa" Fiona, la Principessa Gommarosa un principe e il cane Jake un gatto...

Più esplicitamente "queer" è la serie My Little Pony - L'amicizia è magica che distaccandosi dalla sua origine (giocattoli pensati per bambine) racconta invece un mondo nel quale il divertimento e la caratterizzazione dei personaggi superano talmente di tanto il prodotto "per bambine" da aver creato un movimento di fan maschi e adulti, i "bronies". Pur ambientato in un mondo di stratificazioni sociali piuttosto numerose – di censo e di "razza": pony, unicorni, pegasi – il cartone vuole dimostrare il valore di un sentimento che travalica ogni differenza: l'amicizia. Dice spesso uno dei personaggi pricipali: "anche se non è sempre così facile stare insieme, l'amicizia è qualcosa per cui vale la pena lottare".

Personalmente sono molto legato, per i suoi argomenti inevitabilmente d'attualità, alla serie Gumball, nella quale è protagonista una famiglia a dir poco atipica. Un coniglio disoccupato e pigro è il marito di una gatta lavoratrice e mamma tuttofare; hanno per figli un gatto che con la sua sfacciataggine supera tutti i suoi limiti scolastici e sociali, una coniglietta tanto responsabile e secchiona quanto invisibile ai suoi familiari e un pesce (adottato) spalla di entrambi armato di bontà e ingenuità ai limiti del patologico. Nel contesto di una "tranquilla cittadina americana" questa famiglia si scontra con problemi molto reali: bullismo a scuola, soglia di povertà, ipocrisia dei rapporti sociali, consumismo sfrenato, inquinamento, dipendenza dalla televisione...

Ho capito così che quello che per me era un mondo fantastico nel quale rifugiarmi spesso per allontanarmi dalla realtà, o per meglio affrontare le paure che la realtà poteva suscitare in me da bambino o da ragazzo, adesso è diventato per i miei figli un possibile strumento per comprenderla, quella realtà, e per capire che anche come bambino, bambina, ragazzino o ragazzina posso superarne le difficoltà e avere una seppur minima responsabilità. 

A me genitore rimane la responsabilità più grande, cioè decidere se anche nei cartoni animati è giusto lasciare che s'ingannino le loro piccole consapevolezze con facili ipocrisie di mondi rosa e celesti, tra reginette della moda e mirabolanti calciatori spaziali. Oppure introdurli a una complessità da affrontare insieme, anche tramite un cartone animato, che in qualche modo restituisca loro l'immagine di un mondo molto articolato ma anche molto più divertente da affrontare, senza pregiudizi semplificatori e solo apparentemente confortevoli.



Comunicazione: Studio Talpa | Comunicattive